Annamaria Pisapia è da sempre in prima linea sul fronte meridionalista e l’espressione “da sempre” è più che mai vera perché (a titolo personale) la ricordo “neoborbonica” fin dai primi giorni nei quali fu fondato, con Riccardo Pazzaglia, il nostro movimento, così come la ricordo a combattere sulle varie “trincee” politiche e culturali anche in compagnia del consorte, Salvatore Argenio, dalla “trincea” del loro negozio di “stilisti identitari” con produzioni eccellenti che hanno impreziosito le tante battaglie molto spesso comuni. Detto questo, per la prima volta mi trovo a parlare di una “creatura” che non è legata alla moda e all’eleganza tipica delle Due Sicilie e che, grazie a lei e a loro, ha trovato una sua magnifica continuità a Napoli in via Filangieri. Mi trovo a parlare del primo libro di Annamaria Pisapia: “Mal trattati. E partirono p’ ‘e tterre assaje luntane”. Un libro che già dal titolo e dalla bella dedica (“Ai miei figli il futuro della memoria”) ci fa capire i suoi contenuti e le sue finalità. Si parla, allora, dell’importanza della memoria e se ne parla in maniera inoppugnabile, ironica, chiara e leggibilissima in un libro che è carico di passione e di documenti (due fattori costanti nelle altre battaglie di Pisapia). Un libro-strumento che, come dice anche Pino Aprile nella prefazione, non è solo un testo sul dualismo italiano e, di fronte ai tanti meridionali che “si stanno svegliano dal sonno della storia” ma anche di fronte ai tanti che ancora non lo hanno fatto, fornisce ai primi un’altra “arma” preziosa e ai secondi una chiave per leggere il passato e disegnare un altro futuro (almeno per le prossime generazioni, come ci suggerisce la dedica citata). Così Pisapia racconta il suo percorso ma indica anche ai “non consapevoli” un percorso, un percorso fatto di tante fonti (diverse quelli veramente inedite e ditelo a quelli che ancora oggi, senza aver letto i nostri libri, parlano di libri “poco scientifici”).
Così si parte dalla storia della scintilla scoccata nell’antica bottega sartoriale e da quei gemelli per camicie borboniche ai tanti racconti degli emigranti tra miserie iniziali e amore per la propria terra attraverso la ricostruzione delle nostre pietanze come quella delle antiche processioni religiose. Così si analizza e si spiega in maniera oggettiva e chiara come nasce e come continua ad esistere in Italia un “sistema coloniale” (prima attraverso maniere forti, ora attraverso modalità più “subdole”), quale fu il ruolo fondamentale della massoneria (“la costruzione della memoria massonica”), tra la (vera) storia del 1799 e quella di Pontelandolfo e Casalduni, tra gli storici sabaudisti ai (veri) dati relativi al Piano Marshall o alla Cassa per il Mezzogiorno (aspetti che Pisapia per prima aveva rintracciato, analizzato e pubblicato su social e riviste in questi anni). Si passa dai dati relativi alle “leggi migratorie” (volute dal meridionale Crispi e che diffusero migliaia di agenti per favorire le partenze in cambio di costosissime “patenti da agenti”), al canto-poesia di quelle “connole-culle” senza mamme della voce incantevole di Gilda Mignonette, voce dei nostri emigranti (“meglio un giorno qui che principe lontano”), dai primati delle industrie, delle sete e di San Leucio (citata negli articoli scientifici stranieri come esempio di “people caring”, di lavoro finalizzato al benessere dei cittadini-lavoratori), alle falsità sull’analfabetismo o sulla povertà del Sud preunitario (sapientemente veicolate da White Mario e Villari) passando per i fondi sottratti al Sud attraverso una miriade di enti, istituti e leggi tra il 1860 e il… 2022, passando dalle dichiarazioni sconcertanti dei ministri di turno che arrivarono a giustificare la cancellazione di Pietrarsa o di Castellammare come sacrificio “necessario per la nazione” (il celebrato Quintino Sella) fino ai dati correttissimi e coraggiosi di Nitti passando ancora per i lombrosiani “germi razzisti” e collegando sempre, pagina per pagina, il passato al presente nella continuità spesso drammatica di scelte e linee politiche. Su tutto prevale lo schema utilizzato ieri come oggi (“Lo faccio per il tuo bene e se non accetti sei irriconoscente” o, al limite, sei “retrogrado, neoborbonico o vittimista”).
L’obiettivo di chi ha scritto queste 200 pagine e per chi le ha lette o le leggerà? Una “sana decolonizzazione”, una strada che, pur partendo dal passato, diventa paradossalmente nuova e che non è mai stata percorsa in 160 anni di storia italiana e meridionale e che viene, però, motivata attraverso numerose citazioni di storici, sociologi e psicologi, se è vero com’è vero che “per il mondo del colonialista il colonizzato è sempre supposto colpevole” (Fanon) o che, a proposito di sviluppo e sottosviluppo, “la ricchezza di un paese è sempre legata alla povertà di un altro” (Frank). E se è vero, allora, che la “decolonizzazione è la creazione di uomini nuovi”, questo libro ci aiuta a creare meridionali e forse italiani nuovi e ad assicurare ai nostri giovani un futuro dignitoso e un riscatto atteso da troppo tempo.
Gennaro De Crescenzo