Sono tornato praticamente poche ore fa dall’Inghilterra, in cui si è trasferito uno dei miei più cari amici, torno a casa e so che a Napoli non troverò più il mio migliore amico, mio ‘fratello’ con cui sono praticamente cresciuto, partito per il Piemonte da poco in cerca di una vita migliore che qui non siamo stati in grado di offrirgli, mentre proprio da quella regione partirono alcuni personaggi che misero fine allo sviluppo del Sud. So che a breve un altro carissimo amico partirà per la Germania e non tornerà più. Quando fino a qualche anno fa, nei nostri convegni e nelle nostre denunce sulla Questione Meridionale mai risolta, parlavamo (e parliamo) di ragazzi costretti ad emigrare dalla loro terra contro la propria volontà per cercare fortuna altrove, sembrava quasi non mi toccasse; racconti ‘lontani’ e conoscenze indirette che facevano male, ma non così. Il dramma, entrando del mondo del lavoro dopo quei diplomi e quelle lauree sudate, è sapere che quella porta prima o poi dovrà aprirsi, e quella valigia che ti attende lì fuori, mentre altre terre ed altri popoli si arricchiranno grazie a te…e tu sarai messo davanti ad una scelta, con quel senso di vuoto che diventerà un’abitudine costretto ad accettarla, quella “dignità” e quella “povertà” lasciate qui e forse, riacquistate altrove.
Anni di giochi, di esperienze comuni, stessa aria, stesso cibo, stessa storia, stessa lingua, compleanni, magari tra quei banchi di scuola…un’altra vita, una vita passata, un’epoca passata… scherzi, divertimenti, progetti insieme, viaggi, caffè, ma…quella porta ora si è chiusa, e tu ora lontano…e quell’albero è stato sradicato portando quei frutti da un’altra parte, con i tuoi figli che, nascendo altrove, parleranno lingue ed avranno accenti diversi dal tuo, assorbiti dall’ambiente in cui cresceranno.
Si dice che le cose si apprezzano quando si perdono, lo stesso vale per i valori e gli affetti, li godiamo di più quando sappiamo che a breve potremmo perderli. Sembra una cosa normale al Sud vivere questi allontanamenti, ma non deve esserlo più. La rassegnazione che leggo negli occhi di amici e parenti che si allontanano, non la voglio più vedere, non è giusta…non è giusto! Un amico, un fratello, un figlio che si allontana per il suo bene, un genitore che ingoia il boccone amaro per il “bene” di suo figlio, con quel sorriso finto provando a nascondere il senso di vuoto che provano entrambi, allontanandosi. Oggi l’emigrazione è cambiata certamente grazie alla tecnologia è più facile tornare di frequente, vedersi quotidianamente dietro uno schermo, ma non sono più quei progetti, quella vita, quei caffè al mattino e quelle storie raccontate guardandosi negli occhi, consigliandosi ed abbracciandosi. Immagino i drammi dei nostri antenati a fine ‘800 e nel ‘900, emigranti con il cappello in mano e quel filo di lana che lanciavano da quei “bastimenti pe’ terre assaje luntane”, legati ai loro cari rimasti a terra, finché non si spezzavano perché si allontanavano. In 15 anni, come riportato da Svimez, sono partiti due milioni di cittadini dal Sud, e sempre di più ho la sensazione, talvolta la paura, che anche io tra qualche anno, mese o settimana sarò atteso da quella valigia pronta sul pianerottolo e quel biglietto di “sola andata” per chissà dove. Un popolo umiliato!
Qualcuno ha deciso che al Sud dobbiamo avere questa maledizione, con la rabbia doppia di aver saputo che fino al 1861 da questa terra non emigrava nessuno, ed era anzi terra di accoglienza come per secoli.
Oggi abbiamo il diritto anzi, abbiamo il dovere, di riannodare quei fili e riportare i nostri cari nelle terre in cui sono cresciuti, hanno studiato, hanno vissuto, o almeno…per le future generazioni, chissà!
(Emilio Caserta)