L’ Università di Trieste ha avviato un master su “Scienza ed economia del caffè”. Dopo la recente “battaglia” con Napoli per il riconoscimento-Unesco (alla fine è prevalsa la tragicomica e compromissoria scelta dell’espresso “da Napoli a Venezia”), a Trieste dalle parole sono passati ai fatti e per giunta puntando (giustamente) su giovani, formazione e business. Da sempre, quando è necessario, difendiamo Napoli e il Sud. In questo caso, però, dobbiamo parlare di noi. Da queste parti da oltre 160 anni mancano classi dirigenti adeguate, classi dirigenti consapevoli (anche del passato), radicate e fiere. Una delle conseguenze più gravi dell’unificazione (anche più grave di massacri e saccheggi) è stata la creazione di classi dirigenti sradicate e distanti o “contro” le popolazioni meridionali, pronte a rinnegare le proprie radici e a svendersi per interessi personali (carriere, incarichi, appalti ecc. ecc.). Generazione dopo generazione, ci ritroviamo nei posti-chiave della politica come della cultura, gli eredi genetici (o culturali) degli anti-borbonici del passato, molto spesso anti-borbonici (o anti-neoborbonici) anche oggi. Sono tanti gli intellettuali esperti in “tutta colpa del Sud”, quelli capaci di vedere “gomorre” dappertutto anche quando si parla delle bellezze di questo territorio, quelli bravi ad esaltare i pochi anni e i pochi mesi giacobini e francesi del 1799 o del 1806 e bravi anche a sputare fango sui tanti primati dei 126 anni borbonici o su chi li racconta. È da lì che nascono politici che non pensano a organizzare dei master sul caffè a Napoli o magari eventi che ricordino e valorizzino la nostra storia o le nostre città e le loro mille eccellenze. E ci vengono in mente le scarse o inesistenti tutele di prodotti come la pizza o la mozzarella mentre a Parma (Cibus) o a Bologna (Fico) nascono interi parchi o progetti milionari dedicati ai loro prodotti. È così che si riduce a pezzi il grandioso Albergo dei Poveri (di cui per fortuna si parla in questi giorni). È così che diventano macerie i resti della prima ferrovia italiana e magari non si riesce neanche a mettere insieme, dopo un anno, le quattro pietre dell’Arco Borbonico crollato a Mergellina. È così che a Napoli non si insegna la lingua napoletana nelle scuole. È così che non è stato mai realizzato un museo della canzone napoletana ed è così che è stata uccisa Bagnoli (una delle località più belle del mondo).
Cosa succede, invece, quando si hanno generazioni di classi dirigenti radicate e fiere come capita spesso al Nord? Premesso che non esistono politici perfetti neanche da quelle parti, la differenza la fa proprio il senso di appartenenza, elemento capace di diventare “partito unico del Nord”, anche extra-Lega (Nord) e in maniera trasversale. È così che ministri, governatori o sindaci riescono a raccogliere più fondi pubblici di quelli che gli spetterebbero. È per questo (per fare un altro esempio) che a Verona si inventano balconi mai esistiti di Giulietta con milioni di visitatori annuali e qui nessuno associa il Palazzo Reale a Cenerentola (napoletana) e al grande Basile ignorando la storia o appigliandosi a cavilli patologici tipo “non era una scarpetta, lo scalone era diverso” ecc. (come se non si trattasse di una… favola).
Ma la colpa, in questo caso, non è di Trieste o di Verona. La colpa è nostra. Anzi: la colpa è delle nostre classi dirigenti perché noi, da quasi 30 anni e nel nostro piccolo, facciamo tutto quello che possiamo fare (e anche di più, da volontari ostinati) per lanciare segnali in direzione opposta e nella certezza che tutto questo, anche tutto questo, potrebbe essere prezioso per i nostri giovani nell’attesa che, consapevoli e fieri, possano essere loro a formare quelle classi dirigenti che aspettiamo da troppo tempo e che non si lasceranno più “scippare” il caffè dai triestini…
Gennaro De Crescenzo