Ripubblicato breve saggio (gratis online) di Gennaro De Crescenzo contro uno dei luoghi comuni più diffusi e dannosi (link allegato). Alcuni di voi sanno che spesso tratto il tema delle scuole sia per interessi “privati” (insegno a Scampia da molti anni) che politico-culturali (da oltre un secolo e mezzo massacrano i meridionali “analfabeti”). In diversi casi, com’è capitato su altri temi, i nostri studi dopo diversi anni diventano oggetto di studi anche accademici ed è divertente e gratificante notare come spesso le conclusioni siano molto… simili (capitò, ad esempio, con il tema delle industrie o quello di Fenestrelle). Su tutto, però, prevale l’obiettivo e in questo caso, trattandosi di un luogo comune ancora dannoso, è un obiettivo importante. Qualche mese fa è stato pubblicato un ottimo libro del prof. Vittorio Daniele (“Il Paese diviso”) e la tesi è chiara: “alla data dell’Unità, il numero medio di scuole per comune non era dissimile da quello del Nord”. Molto coraggioso anche un altro docente (Maurizio Lupo) pochi anni fa: da confutare, per Lupo, la tesi “tradizionalmente sostenuta dalla storiografia specializzata: ossia che al momento dell’Unità il sistema scolastico meridionale, gravemente arretrato, fosse compromesso per le scelte di una classe dirigente che non aveva mai favorito, e talvolta persino ostacolato, lo sviluppo di una scuola pubblica paragonabile, per efficienza e modernità di impostazione, alle strutture esistenti in altre parti d’Italia o d’Europa”. Anche se queste tesi “fanno oramai parte del comune senso storiografico […] tale immagine negativa non trova piena conferma nei risultati della ricerca sul campo: il Mezzogiorno partecipò alla modernizzazione scolastica”. I dati riportati negli Annuari sono chiari ed è assurdo pensare che in tutti questi anni nessuno li abbia studiati in maniera adeguata: Piemonte e Liguria contavano 1823 comuni e 1755 scuole (96,3% di comuni con scuole), il Sud continentale 1855 comuni con 1755 scuole (94,6%), l’Emilia 364 con 230 (63,2%), la Toscana 246 con 112 (45,5%)… Con picchi che (come rivelavano le carte dell’Archivio di Stato che consultai tempo fa) erano altissimi in alcune zone (Terra di Bari 51 comuni e 351 scuole pubbliche, private, maschili e femminili; Terra di lavoro 174-664;  Napoli 66-371). Non meno di 7000 le scuole in tutto il Regno con una percentuale massiccia (e non registrata) di maestri privati (oltre 60.000 nel 1820). A tutto questo ci dobbiamo aggiungere il più alto numero di iscritti alle università (10.528 a fronte dei 5203 complessivi del resto dell’Italia), il più alto numero di tipografie, di giornali,  riviste e libri pubblicati ogni anno (oltre 400 titoli per 2500 addetti alle stamperie). Quello che alcuni accademici, però, non fanno è il calcolo più facile del mondo: se due più due fa quattro evidentemente quelle percentuali altissime di analfabeti (tra l’80 e il 90%) che ci rinfacciano da oltre un secolo e mezzo sono una gigantesca fake-news perpetuata negli anni per perpetuare complessi di superiorità “nordici” e complessi di inferiorità “sudici”. Già nel mio “Noi, i neoborbonici” e in “Carnefici” di Pino Aprile il quadro era chiaro: i famosi censimenti (documenti originali spariti) furono utilizzati a “fini politici”, come risulta anche da qualche denuncia parlamentare del tempo con una premessa: i compilatori che negli ultimi giorni dell’anno andavano in giro per raccogliere quei dati spesso evitavano di andare in giro e, pagati in base alla schede compilate, con una bella X registravano come analfabeta tizio e caio. È una spiegazione logica e di certo più logica di quella che imputerebbe ai pochi maestri di tutte quelle scuole tutti quegli analfabeti (i dati del 1860/1861, come verificai in archivio, erano falsati da uno straordinario numero di maestre e maestri licenziati perché “borbonici” o che si dimettevano non percependo stipendi). Ed è poco logica anche la tesi secondo la quale quei maestri non facevano bene il loro lavoro sia perché parliamo di una semplice alfabetizzazione che perché, trattandosi in gran parte di scuole private, nessun genitore avrebbe tollerato (senza picchiare i maestri) un figlio analfabeta dopo aver pagato anche un solo ducato… In sintesi: i meridionali non erano affatto analfabeti e continuare a dirlo o a scriverlo è falso e offensivo.
Gennaro De Crescenzo
Link del saggio (gratis online).
Nell’immagine la scuola dedicata a Ferdinando II di Borbone a Scafati qualche anno fa dal preside Vincenzo Giannone.