Da qualche mese gira sui social una lettera che Garibaldi avrebbe inviato a Collodi. Nella lettera Garibaldi riconosce di non aver unito ma diviso l’Italia, di essere un “avventuriero” ed evidenzia i veri motivi delle sue imprese (“fama e ricchezza”) basandosi su “falsi ideali cui far leva e trovai qualcuno che, dopo avermi usato, mi mise da parte”. Fa chiarezza, infine, sulla spedizione dei mille: “la più vile porcata che il suolo della penisola possa aver mai vissuto e, a questo punto, spero che mai sia costretta a rivedere”.
La lettera è ossessivamente citata dagli anti-borbonici per dimostrare la falsità delle tesi dei neoborbonici e spesso anche da alcuni neoborbonici (spesso in buona fede) per metterci in guardia (“non prestiamo il fianco alle critiche citando notizie false”).
Con un minimo di ricerche vere, però, questa tesi diventa diventa un boomerang per gli anti-borbonici con una premessa necessaria: la storia del cosiddetto “risorgimento”, veicolata per giunta sui libri di scuola di ogni ordine e grado dalle elementari alle università passando per i media nazionali da oltre 160 anni, è costellata di falsità, di miti e di leggende frequentemente anche poco logiche (la favola dei “mille”, le frasi storiche pronunciate dagli eroi unificatori, l’arretratezza borbonica e il benessere sabaudo, i meridionali delinquenti e truffatori ecc.ecc.). Ecco perché prima di preoccuparci di “rovinare la nostra immagine con documenti falsi”, forse dovrebbero preoccuparsi della stessa cosa tutti quelli che, impuniti, lo fanno da oltre 160 anni…
Quella lettera è il frutto dell’invenzione di un romanziere (Francesco Luca Borghesi) ma, al di là dei toni utilizzati, presenta molti spunti “veri” se pensiamo al fatto che l’Italia effettivamente non fu “unita”, il nizzardo fu effettivamente un “avventuriero”, diventò effettivamente “famoso e ricco” con la sua spedizione (isole intere, yacht, pensioni e lauti vitalizi in dono), fu effettivamente “messo da parte” dopo essere stato utilizzato con ideali che effettivamente si rivelarono “falsi”. In quanto al resto (la spedizione-porcata che non avrebbe mai voluto ripetere), ci supporta un documento vero: la lettera che Garibaldi scrisse ad Adelaide Cairoli nel 1868: “ho la coscienza di non aver fatto male, nonostante non rifarei oggi la via dell’Italia Meridionale, temendo d’esservi preso a sassate da popoli che mi tengono complice della disprezzabile genia che disgraziatamente regge l’Italia e che seminò l’odio e lo squallore ove noi avevamo gettato le fondamenta d’un avvenire italiano, sognato dai buoni di tutte le generazioni e miracolosamente iniziato”. In sostanza si dicono le stesse cose della lettera “falsa” ma (il dito e la luna) i garibaldini con il dito puntato fanno finta di nulla e nulla dicono sulla lettera vera ed è lo stesso schema usato in altre occasioni da oltre 160 anni.
Anche in questo caso i falsari e gli ipocriti del dito e della luna non siamo noi. E ci dispiace tanto se (nemesi storica) ormai centinaia di migliaia di persone (se non milioni) ritengono vera quella lettera…
Gennaro De Crescenzo