È di qualche giorno fa la notizia di diversi macchinari della Whirlpool Napoli venduti all’asta su un sito specializzato. Da tempo siamo vicini agli operai e spesso sono apparse, durante le loro manifestazioni, le bandiere delle Due Sicilie a sottolineare la grandezza del passato contrapposta ai fallimenti del presente tra false promesse e attese troppo lunghe. La storia, però, continua ad insegnarci molto e ci viene in mente quella che fu, con i Borbone, la più grande fabbrica metalmeccanica in Italia (1050 operai, 480 all’Ansaldo di Genova mentre la Fiat ancora non era nata). Ci vengono in mente i nostri vecchi studi archivistici che, oltre alla ormai famosa strage degli operai (agosto 1863), rivelarono altre verità e uno schema (troppo) spesso applicato alle fabbriche del Sud. La cessione ad un faccendiere del tempo (Jacopo Bozza), la progressiva decadenza, la fine dei primati e della crescita progressiva del cuore dell’industrializzazione meridionale, i licenziamenti, le proteste e (il filo rosso della memoria fino ad oggi) la svendita dei macchinari ad aziende del Centro-Nord misteriosamente riferibili allo stesso Bozza, come risulta dagli archivi locali (in particolare a Piombino) per i macchinari sia di Pietrarsa a Napoli che di Mongiana in Calabria (“laminatoi e soffianti su due grandi bastimenti per oltre 300 tonnellate” nel settembre del 1864). Riconosciamo, infine, lo schema applicato anche in futuro (pensiamo tra l’altro al Banco di Napoli): prima della “svendita”, si diffondono “calunnie” per giustificarla e così si “avviliva uno Stabilimento, il quale, unico per tutte le italiane contrade, ed ammirato da’ meccanici forestieri di più alto grido, massime inglesi, formava la gloria di milioni di uomini”.
E poi dicono che la storia non serve…
Gennaro De Crescenzo